Falcone, gli anarchici e il 41 bis

Ho rimuginato a lungo, prima di scrivere di questo argomento. Mi sentivo sospesa fra il rispetto di una legge che, come ha detto in più occasioni Giancarlo Caselli, «gronda del sangue di Falcone e Borsellino» e la rabbia per l’uso distorto che se n’è fatto e se ne fa, e che ha spinto Alfredo Cospito, leader anarchico con qualche reato da scontare, ma non meritevole del carcere duro, a iniziare sulla propria pelle una battaglia contro questa norma. Un lunghissimo sciopero della fame, nel corso del quale è arrivato anche a rifiutare, per un certo periodo, perfino la terapia con gli integratori. Cospito ha usato il suo corpo, che probabilmente non tornerà mai più come prima, per affermare un principio valido per tutti, e cioè che il carcere non deve essere tortura, mai.



Ma come è nata questa legge?
La legge sul carcere duro per gravi reati, come era stata immaginata da Falcone, aveva un suo perché. I grandi capi mafiosi, i Riina, i Provenzano, erano in grado anche dal carcere di inquinare i processi, di minacciare, corrompere o far ammazzare giudici, poliziotti e testimoni, o di attuare vendette trasversali contro i pentiti. Perciò fu chiaro, fin da allora, che i capi dei capi vanno presi e isolati drasticamente, se si vuole che la giustizia possa fare il suo corso.
La prima versione (legge 10 ottobre 1986, n. 663, nota come Legge Gozzini) recitava: «Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati: a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti; b) che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti».
Il famigerato articolo 41bis, in origine, era riferito solo alle rivolte carcerarie, in occasione delle quali il Ministro di grazia e giustizia «ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto».
Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio vi fu un inasprimento, ma sono state le successive modifiche (principalmente quelle intervenute nel 2002 sotto il secondo governo Berlusconi) a estendere il regime di carcere duro e a renderlo permanentemente presente nell'ordinamento penitenziario.
 
Ma soprattutto è preoccupante l’uso che di questa norma si fa.
Perché al carcere duro non finiscono i capimafia, ma i ribelli, i leader del dissenso come Cospito. Snaturando la funzione della detenzione, che oltre a “rieducare” (sic) il condannato, serve a proteggere la società. Quale concreto pericolo per la società rappresenta un leader anarchico? Sembra chiaro che Cospito non è Riina, non è Provenzano e, pur avendo commesso reati che rientrano nella casistica del terrorismo, non è nemmeno Bin Laden. Ma soprattutto la galassia anarchica (ci sarà una ragione per cui viene chiamata così) non è un’organizzazione monolitica, di quelle dove i capi comandano e se non obbedisci ti prepari a morire. Cospito dalla sua cella può incitare alla rivoluzione, aizzare la gente contro lo Stato, ma se qualcuno decide di dare seguito ai suoi incitamenti lo fa liberamente, e forse lo farebbe anche se non ci fosse un leader che lo incita. Se puniamo Cospito per questo, allora viene meno la libertà d’opinione. Se lo puniamo per questo, stiamo criminalizzando il dissenso in quanto tale, e stiamo trasformando il carcere, che già non è una passeggiata di salute, in una inutile e insopportabile violenza.
 
Flick e i suicidi
Giovanni Maria Flick, ex ministro di grazia e giustizia, in una recente intervista, pone fra l’altro l’accento su un tema trascurato: i suicidi dei detenuti. Secondo lui, anche lo sciopero della fame di Cospito può essere considerato un tentativo di suicidio, uno dei tanti a cui il regime carcerario con la sua durezza induce: «Credo che la responsabilità di evitare che un detenuto ponga in essere un suicidio spetti all’amministrazione penitenziaria ed al suo vertice, che sale fino al ministro. Tra l’altro il ministro è colui che prende il provvedimento di sottoposizione al 41 bis». 
I suicidi dei detenuti (84 nel solo 2022, il numero più alto degli ultimi 22anni, trend in crescita) sono uno dei più dolorosi segnali di come l’istituzione carceraria, ben lungi dal favorire il reinserimento del condannato nella società, ne favorisca invece l’alienazione, portando in molti casi a un inasprimento delle personalità più sociopatiche e in altrettanti, o forse più casi, a livelli di depressione letteralmente insostenibili, di cui i suicidi sono la punta dell’iceberg.

La Cassazione
Intanto, la battaglia sul piano legale procede. Il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva confermato il 41bis per Cospito, e i suoi legali hanno portato la questione in Corte di Cassazione. L’8 febbraio il Procuratore Generale della Cassazione, Piero Gaeta, deposita una requisitoria in cui chiede di annullare l’ordinanza del tribunale di sorveglianza: scopo del 41bis, dice in sostanza il pg, è quello di evitare che vengano commessi altri reati, e inoltre non è sufficientemente provato che ci sia un collegamento fra Cospito e i gruppi anarchici fuori dal carcere, tale da portare questi ultimi a commettere nuovi reati.

La Cassazione delibererà il 24 febbraio, ma già il tono della requisitoria dà speranza al detenuto, che ricomincia a prendere gli integratori. Il suo stato di salute comunque è critico, e lo Stato avrebbe potuto rispondere in molti modi invece di irrigidirsi. Sono al limite dell’incredibile le dichiarazioni del ministro della giustizia, della Presidente del Consiglio e di altri esponenti del Governo.



Contessa
Infine, una riflessione sulle manifestazioni, a tratti violente, che si sono tenute in molte città a sostegno di Cospito. La galassia anarchica è composita, dentro c’è di tutto, e non mi sembra che abbia una grande capacità strategica, altrimenti terrebbe sotto controllo le frange violente che rischiano di far criminalizzare l’intero movimento di dissenso e di danneggiare lo stesso Cospito. Ma questo non è un motivo per usare una legge, nata per proteggerci dai mafiosi, come olio di ricino. Dice ancora Flick: «Non è possibile, alla luce della giurisprudenza della Corte, utilizzare il 41 bis per aggravare la pena facendola diventare più dura».
Incitare alla rivolta può, in alcuni casi, essere istigazione a commettere reato. Ma essere a capo di un’associazione a delinquere sarebbe ben altra cosa.

E allora mi torna alla mente un altro periodo dove la lotta politica assumeva toni aspri, e una canzone che a quella lotta fece da colonna sonora:

«Compagni dai campi e dalle officine
prendete la falce, portate il martello,
scendete giù in piazza, picchiate con quello,
scendete giù in piazza, affossate il sistema».

E penso che, se Paolo Pietrangeli fosse ancora vivo e scrivesse oggi quella canzone, forse anche lui rischierebbe di finire al 41bis.

La legge sul carcere duro va cambiata. Non abolita completamente, perché purtroppo esistono ancora capimafia pericolosi. Ma va limitata a quelli che, anche fra i detenuti per delitti di mafia, hanno realmente il potere di comandare dal carcere. E vanno precisate le modalità della sua applicazione, non può essere una sospensione delle regole della legalità. Insomma va profondamente modificata, perché sia quello che tutte le leggi devono essere: uno strumento della democrazia, non del terrore dittatoriale.

Commenti

Post popolari in questo blog

Uomini che credono di amare le donne

La tempesta

Solitudini