Similitudini e differenze

 
Ci sono certe frasi che, ogni volta che le sento pronunciare, mi stimolano la vis polemica.
Una delle più irritanti è «Non potremo mai intenderci perché siamo troppo diversi, non abbiamo niente in comune». A parte che molte volte è falsa, perché se due persone stanno dialogando, qualcosa in comune devono pur averlo... ma siamo sicuri che essere diversi, avere poco in comune, sia uno svantaggio per le relazioni umane?

C’è una mia amica che ama follemente il calcio. Quando c’è la partita del Napoli lei è in fibrillazione, e se vince lei esulta. Io invece sono una che di calcio non capisce proprio niente, non me ne interesso e sicuramente non tifo
Lei conosce quattro lingue, io nemmeno l’inglese. Lei fa un lavoro completamente diverso dal mio, lei ha figli e io no.
Sembrerebbe dunque che non abbiamo nulla in comune, che non possiamo intenderci. Eppure ci intendiamo. Ci piace passeggiare nei boschi, al passo lento di chi non ha più vent’anni, osservando con attenzione la Natura che ci circonda. Ci piace incontrarci su una panchina in pineta o al tavolino di un bar, e parlare di letteratura, di alberi, di politica. Piace a tutte e due scrivere, e lei, blogger più esperta di me, mi dà ottimi consigli che non sempre riesco a seguire. A conti fatti, le similitudini sono più delle differenze. Ma anche le differenze, in fondo, sono interessanti. Per esempio è stato sorprendente scoprire che per lei, nell’adolescenza, il calcio è stato quello che per me è stata la danza: un modo di sentirsi libera, di formare il suo carattere fuori da schemi precostituiti.
 

A me sembra che le differenze siano stimolanti, che portino curiosità e vitalità nelle relazioni di ogni tipo. Mi è capitato di vedere coppie felicissime che, al momento della loro conoscenza iniziale, potevano senz’altro apparire mal assortite perché lui amava il pugilato e lei la danza, lui la montagna e lei il mare, lui Beethoven e lei il jazz. Invece, ben presto, hanno trovato un punto di equilibrio condividendo alcune cose e gestendone altre in piena autonomia, e tante volte sono coppie molto stabili, forse perché le diversità le salvano dalla noia. In altri ambiti, assisto quotidianamente a situazioni lavorative dove la diversità dei caratteri e dei modi di fare, insieme a quella delle competenze, rende ricco e produttivo il lavoro.
Certamente, per realizzare questa felice interazione, bisogna avere quelle che un mio amico chiama premesse condivise: una sorta di vocabolario essenziale di base. Si tratta di conoscere le poche cose realmente importanti per ciascuno dei due, e di verificare che siano compatibili (compatibili, non necessariamente uguali). Per esempio, io non potrei mai andare d’accordo con un nazista. Ma al mondo ci sono molti milioni di persone che non sono nazisti e non lo saranno mai.
Laddove le differenze non sono così determinanti, la conoscenza di persone nuove è una bella avventura, ricca di scoperte entusiasmanti.

I calzini sono spaiati, ma che problema c'è?

Ma spesso anche chi a livello razionale è cosciente di questa verità, preferisce poi rifugiarsi nel rassicurante appiattimento di qualche bolla dove tutti la pensano allo stesso modo, fanno le stesse cose, condividono luoghi e tempi del vivere e vedono tutti gli altri come potenziali nemici.
C’è una tendenza pericolosa, non solo nei beceri faziosi delle tante chiesuole di Facebook, ma anche fra persone socialmente e culturalmente attive, che ti aspetteresti aperte e che fino a qualche tempo fa realmente lo erano. Oggi le vedi marcare il territorio, sottolineare tutto quello che divide ignorando ciò che potrebbe invece favorire il dialogo, tagliare i ponti con qualcuno che stimavano solo perché una volta ha detto o fatto qualcosa su cui non erano d’accordo.
 

Credo che alla base di questo peggioramento ci sia la paura. 
La pandemia ci ha resi più fragili, ha fatto di noi delle creaturine spaventate che ringhiano e mordono perché temono di soccombere. L’Altro è diventato un pericolo, e non solo perché può contagiarci, ma perché mette in crisi la nostra già fragile identità. Poi la guerra ci ha messo il carico da undici, destabilizzandoci con preoccupazioni reali ma anche evocando paure ancestrali. E allora anche chi fino a qualche tempo fa si metteva in gioco, ora si presenta restio a farsi conoscere, a mostrarsi al di là degli slogan e delle etichette. 
Ti ripete parole d’ordine vuote, ma non ti racconta come si sente.


E questo è pericoloso. Perché in questo modo non potrai mai verificare se ci sono realmente delle premesse condivise, perché uno dei due non mostra le sue.
Nasce così uno squilibrio, difficile da sanare. Uno dei due avrà sempre sulle spalle tutto il peso della relazione. E mentre uno si spende nella ricerca dei punti in comune, l’altro, magari inconsapevolmente, saboterà la comunicazione e se stesso.
 
Vorrei che ci fosse una soluzione a tutto questo, ma finora non la vedo. Certe barriere sono così ben costruite che solo un aiuto professionale -con il pieno consenso dell’interessato, e quindi con un minimo di consapevolezza- può riuscire a scardinarle. Come dire che ci sono muri che si possono abbattere solo dall’interno.
Di fronte a questi comportamenti, l’unica cosa che si può fare, credo, è dire la verità. Mettere chi ci dice «Non abbiamo niente in comune» di fronte al fatto che quell’immagine divisiva della vita e del mondo che ci sbatte davanti, non è realtà, ma solo una sua difesa. Con delicatezza, ma con fermezza, metterlo/a di fronte alla sua paura perché ne prenda coscienza. Ma se non funziona, inutile struggersi nel tentativo di smentirlo/a.
Se qualcuno insiste a marcare le differenze, scappate. 
Non perché il vostro interlocutore abbia ragione e il dialogo sia oggettivamente impossibile, ma perché quella frase è il segno di una disposizione negativa. Se accettate il suo gioco, lascerete che vi scarichi sulle spalle la responsabilità delle sue paure e delle sue fragilità, e se poi qualcosa andrà storto, magari vi sentirete dire «Ma te l’avevo detto che non ci saremmo intesi, siamo troppo diversi, non abbiamo nulla in comune!».
Scappate. A gambe levate.

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