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Visualizzazione dei post da aprile, 2022

Quel giorno che andai dal parrucchiere

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Quante cose sono cambiate in questi ultimi anni. Come un po’ per tutti, credo. Ma per ognuno c’è stato un percorso particolare, e ci sono state svolte inattese, in momenti magari imprevisti, a volte legate a gesti apparentemente insignificanti. Quando iniziò il lockdown, per i primi giorni quasi non percepii la differenza. Ero a Trecase, e quando sono lì sto sempre in casa, fuori dal centro abitato, se non fosse stato per le notizie in televisione nemmeno me ne sarei accorta. Non sembrava molto differente, anche se avevo già intuito la gravità della situazione. Poi cominciò a durare e a pesare. Non poter andare a Ischia, non poter lavorare, niente scuole, niente bambini, niente alberi tranne quei pochi del mio piccolo giardino. Niente mare. Niente Nettuno va a scuola. Soprattutto niente amiche e amici, niente zia e cugini, nessuna delle piccole affettuose abitudini che condividevo con loro. La chiusura, con piccole interruzioni, durò oltre un anno e mezzo. A Ischia, anche fra una zona

Solitudini

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Che cos’è veramente la solitudine? È più solo/a chi cammina da solo in riva al mare o chi si annega in mezzo a una folla a cui non importa niente di lui/lei? È più solo/a chi la sera torna in una casa vuota o chi vive con qualcuno che, al mattino, non dice neanche buongiorno? Quante solitudini mi sono passate sotto gli occhi ultimamente. Solitudini spesso non riconosciute da chi le vive, ma che appaiono evidenti a chi le guarda. Come quella del tipo sopra le righe, che si presenta a un incontro culturale abbigliato come un playboy degli anni ’70, e mentre tutti gli altri prendono caffè, tè o cioccolata, lui prova a stupire ordinandosi un drink bello forte, e forse ne ha già un altro paio in corpo. Poi parla e straparla, zittisce tutti gli altri, si dà arie da granduomo, allunga le mani ripetutamente su una ragazza che gli siede accanto e che non ha mai visto prima. E anche la ragazza forse è sola e non lo sa. Perché lo lascia fare e non si ribella. Intendiamoci, qualsiasi donna ha il

Abbracciame

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  Erano i primi tempi della pandemia. Eravamo tutti pieni di paura. L'isolamento ci faceva sentire piccoli e sperduti. E allora ci fu chi si mise a cantare dai balconi. "Abbracciame", una canzone d'amore, la richiesta disperata di quello che ci mancava di più: un abbraccio. E dai balconi di tutta Napoli la gente rispose. Ci fu chi criticò questo mettersi a cantare mentre la gente moriva. Ma quel canto non era gioia e spensieratezza. Era un'invocazione, un grido di speranza, un invito a non spezzare i legami, ad amare oltre la paura e la solitudine. Il video All'epoca io ero in una casa isolata, dove se pure mi fossi messa a cantare dal balcone nessuno mi avrebbe risposto. E allora guardai verso Ischia (che non si vede da lì, ma io conosco la direzione) e scattai una foto, un modo come un altro per sentirmi meno sola, e la mandai alla mia amica Marianna.      Lei mi rispose con un'altra foto, scattata nella mia direzione. Foto Marianna Lamonica Oggi finisce